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Idrogeno? Essere first movers è importante 

Giu. 9 2021

MA ESSERE PREPARATI LO È ANCORA DI PIÙ

In un’ipotetica classifica tra gli elementi della tavola periodica più citati, l’idrogeno occuperebbe senz’altro le prime posizioni. Mai come sta accadendo da un anno a questa parte è stato oggetto di un’attenzione così diffusa e così di lunga durata non solo di tecnici e addetti ai lavori, ma anche dei cosiddetti media mainstream. È facile rendersene conto provando a inserire la parola chiave “idrogeno” nella sezione Notizie di Google: compariranno numerosi articoli dedicati a quello che viene indicato come il più promettente vettore energetico del futuro, il più adatto alla Transizione green.
Un’attenzione che, rispetto a quanto avvenuto nel passato – più o meno recente – pare supportata da un consistente e variegato gruppo di soggetti, importanti sia per numero che per interessi che rappresentano. Governi, organismi internazionali, aziende multinazionali, energy company stanno sviluppando progetti e finanziando piani per l’utilizzo dell’idrogeno. Per esempio, la Commissione europea, a luglio del 2020, ha presentato una strategia al 2050 con l’obiettivo rendere l’idrogeno uno dei pilastri sui quali poggiare la decarbonizzazione dell’economia del Continente.
Solo considerando questo inizio 2021 si ha che oltre 30 Paesi nel mondo hanno predisposto road map per l'idrogeno, con investimenti di risorse economiche superiori a 70 miliardi di dollari. Attualmente poi, si contano più di 200 progetti sull'idrogeno lungo la catena del valore, di cui oltre la metà in Europa.
Una volta realizzati, il totale degli investimenti arriverà a oltrepassare i 300 miliardi di dollari di spesa fino al 2030, l'equivalente dell'1,4% del finanziamento energetico globale.
L’idrogeno di cui si parla e sul quale si punta è quello che convenzionalmente viene definito “verde”, per il suo minore impatto ambientale. L’obiettivo è che sia prodotto attraverso l'elettrolisi dell'acqua in un elettrolizzatore alimentato ad energia elettrica in cui le fonti sono rinnovabili e le emissioni di gas climalteranti nulle o quasi nulle.
Ma non solo. Ne esistono altre tipologie caratterizzate da colori diversi a seconda del modo in cui è stato estratto dalle molecole con le quali si è combinato e, di conseguenza, qual è il suo impatto sull’ambiente. Per esempio quello “grigio” è il risultato di diversi processi quali lo steam reforming del gas naturale o la gassificazione del carbone che usano i combustibili fossili (metano per esempio) come materia prima. Può anche essere lo scarto di una reazione chimica. Oltre a essere meno sostenibile per quantità di emissioni di CO2 è ad oggi anche il più diffuso (più del 90%). Quello “blu”, pur venendo da combustibili fossili (gas naturale o carbone) è differente dal “grigio” perché la CO2 liberata nel processo non viene rilasciata in atmosfera ma, in buona parte, immagazzinata grazie a processi di Carbon Capture and Sequestration.
Attualmente la quasi totalità delle 70 Mt/anno di idrogeno prodotta, è utilizzata nell’industria petrolifera, in quella chimica – in particolare nella produzione di ammoniaca e metanolo – e nel settore siderurgico. Oggi, infatti, la maggior parte dell’idrogeno prodotto si serve dell’energia proveniente da combustibili fossili, per nulla sostenibili. Nel 2019, ciò è stato pari a circa il 2,5% delle emissioni globali relative al settore energia (830 MtCO2/anno- fonte IEA).

Ciò a cui si guarda sono i possibili e futuri utilizzi in grado di coprire una vasta gamma di attività umane: industria, mobilità, building e soprattutto power generation. Esso, infatti contribuirebbe a risolvere il problema posto dalla crescita delle energie rinnovabili non programmabili (eolico e fotovoltaico), ovvero trovare un sistema valido e affidabile in grado di garantire livelli di fornitura alla rete anche nei periodi in cui la produzione è ferma o intermittente. Con le batterie che attualmente garantiscono solo uno storage di breve durata. 
Se lungo il percorso vi sono diverse criticità e barriere da superare che riguardano aspetti tecnologici, economici e infrastrutturali, l’importanza dei soggetti coinvolti e l’entità degli investimenti previsti fanno ritenere che la strada sia tracciata.  
In questo panorama, in continua evoluzione, è senza dubbio importante essere dei first movers. Ma per sfruttarne appieno il vantaggio competitivo è fondamentale farsi trovare pronti, preparati e sicuri di poter prendere decisioni corrette quando serve. O in altri termini avere la consapevolezza di essere garantiti nella gestione del rischio, di essere conformi verso norme e standard, di operare nella maniera più efficiente e sostenibile, di aver scelto l’opzione migliore in quel momento disponibile.  
Per questa ragione Bureau Veritas supporta quei soggetti che credono nello sviluppo dell’economia dell’idrogeno attraverso una serie di servizi che fanno capo alle due più importanti macro-aree, quella dell’energia e della mobilità, inoltre partecipa all’Hydrogen Council e alla Commissione UNI/CT 056.
Si pensi solamente alle operazioni di adattamento che proprietari di asset e fornitori di servizi in campo oil&gas dovranno fare se non desiderano rimanere ai margini di questa imponente trasformazione: le strutture di produzione e stoccaggio di idrogeno, sia offshore che onshore, devono essere sicure, resilienti e tecnologicamente sempre all’avanguardia.
Ugualmente, l’idrogeno può rivoluzionare il sistema dei trasporti, a partire da quello su strada, su rotaia fino a quello marittimo. Ecco perché chi si occupa di mobilità ha la necessità di avere soluzioni integrate che permettano di generare valore e al contempo diano la certezza di una corretta gestione del rischio.

Siccome l'idrogeno si presenta come un'enorme opportunità è indispensabile agire con la massima cura.

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